Le lingue proibite degli elfi nella Terra Di Mezzo di J.R.R. Tolkien

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Nelle storie della Terra di Mezzo c’è un aspetto centrale, benché poco analizzato, che spiega come la manifestazione di potere e autorità sfoci spesso nel sopruso, se si viene mossi dall’emozione e da idee sul mondo che non tengono in conto l’altro, per qualsiasi ragione. In ogni storia c’è sempre un atto che mostra con chiarezza il momento in cui si passa dal potere esercitato con equilibrio all’autoritarismo.

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Per Tolkien, il cuore del cui lavoro erano le lingue, questo momento non può non passare che attraverso la proibizione delle lingue. Un momento spesso drammatico, con cause differenti, e maggior o minor grado di motivazioni giustificabili, ma che causa sempre divisione e dolore, mentre l’Ombra trionfa.

Lo vediamo narrato soprattutto nel Silmarillion, tra Prima e Seconda Era.

Nel capitolo XV, “Dei Noldor del Beleriand”, veniamo a leggere di come Re Thingol del Doriath, signore dei Sindar, venga ad apprendere il motivo per cui i Noldor sono tornati nella Terra di Mezzo: il giuramento per i Silmaril, il fratricidio dei Porti, la maledizione di Mandos su tutti i Noldor. Elwe è l’antico nome di Thingol, e Olwe, suo fratello, è il signore dei Teleri dei Porti. Il sangue della sua famiglia è stato sparso da altri Elfi. Quando lo apprende dai figli di Finarfin (in quel caso da Finrod e Angrod) va in collera, una collera comprensibile. Ma ecco qui che entra in scena la decisione del Re, la quale, benché comprensibile, non farà che acuire le divisioni.

“Io non voglio infatti chiudere per sempre le mie porte in faccia a voi, che siete del mio stesso sangue e che siete stati coinvolti in un’azione riprovevole nella quale non avete prestato ausilio (…) Mai più alle mie orecchie risuoni la lingua di coloro che in Alqualonde hanno sterminato i miei consanguinei! Nè sia più pubblicamente parlata nel mio regno, finchè io sieda su questo trono. Tutti i Sindar devono essere informati del mio ordine di non usare la favella dei Noldor nè di rispondere a chi con essa si rivolga loro. E chiunque vi faccia ricorso, sarà considerato fratricida e traditore impenitente”. Un ordine durissimo, quello di Thingol, nato da un dolore comprensibile, ma che sfocia in una emarginazione di tutti coloro che parlassero la lingua dei Noldor, i quali venivano schivati dai Sindar. Questo, oltre ad acuire la separazione tra i figli di Feanor e Thingol, costrinse comunque gli altri Noldor, la gente di Fingolfin, di Finrod e di Galadriel stessa, a servirsi del Sindarin, pena l’esclusione sociale, trasformando così il Quenya in una lingua sapienziale. Nella narrazione appunto sapienziale del Silmarillion il dramma non si coglie del tutto, ma Tolkien, maestro del “non detto”, ce la trasmette tra le righe.

Gli elfi rappresentano delle creature iconiche nel legendarium tolkieniano, di cui abbiamo parlato in un altro post.

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Ancor più drammatica è la seconda proibizione, che avviene nella Seconda Era a Nùmenor, e di cui leggiamo in un’altra sezione del Silmarillion, l’Akallabeth, che parla della caduta del più grande regno degli Uomini.

Gli Uomini, infatti, sempre più invidiosi della vita eternamente lunga degli Elfi, si allontanarono dai Valar e dagli Elfi, a parte i pochi Fedeli, amici degli Elfi (tra cui sarà anche Elendil); e si arrivò al punto di proibire le lingue elfiche, in due fasi. Nella prima, vediamo il re Adunakhor, Signore dell’Occidente (titolo che già di per sè è una caduta nell’Ombra) che “abbandonò le lingue elfiche e ne proibì l’uso in sua presenza”, anche se, per una specie di ipocrita scaramanzia, nei rotoli conservò il nome di Herunùmen, che è Alto Elfico, perché i re “non osavano infrangere del tutto per paura che ne derivasse il male”. Questo Re è “il bisnonno di mio nonno” citato da Mirìel ne Gli Anelli del Potere: appunto il primo a proibire le lingue degli Elfi.

I Fedeli ovviamente furono spaventati da tutto questo e i loro cuori erano divisi “tra la lealtà alla casa di Elros e la venerazione delle Potenze designate“. Il peggio comunque doveva ancora venire, perché entra in scena una proibizione non più solo in presenza del Re, ma collettiva: tre Re dopo, sotto il regno di Ar-Gimilzor, il più grande avversario dei Fedeli, venne proibito “del tutto l’uso delle lingue elfiche” e furono puniti “coloro che davano il benvenuto alle navi di Eressea che ancora approdavano in segreto alle rive occidentali della regione”.

Insomma, questa proibizione collettiva è la definitiva caduta nell’Ombra di Nùmenor, perchè quando la legge costringe qualcuno all’emarginazione e al pericolo di morte si oltrepassa una linea che può portare solo alla Caduta.

Le motivazioni di Thingol paiono meno “gravi” di quelle dei Re di Nùmenor, ma entrambe le scelte portano in fondo allo stesso risultato: violenza sulle voci altrui, separazioni tra la stessa gente, dolore e morte.

Entrambe le decisioni, alla fin fine, sono la via per la Caduta.

Se volete approfondire i testi di Tolkien, vi suggeriamo di visitare il nostro archivio dei libri più importanti sulla Terra di Mezzo tradotti in italiano.

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Pierluigi Cuccitto
Pierluigi Cuccittohttps://www.instagram.com/piermulder/
Nato a Urbino il 17/09/1981, laureato in ricerca storica e scrittore fantasy, è divulgatore Tolkieniano e speaker di Radio Brea, nonché socio attivo dell'Associazione culturale Sentieri Tolkieniani.

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