Come già fatto in precedenza con il tema del Razzismo in Tolkien, continuiamo ad analizzare le tematiche che sono oggetto di maggiore interesse nell’universo del Professore. Il concetto di “follia” nelle opere di J.R.R. Tolkien è più che mai presente, poiché ci si scontra inevitabilmente con la duplice natura dei protagonisti che compongono le storie, un dualismo tra bene e male, tra equilibrio e squilibrio, che è prerogativa stessa dell’essere umano. Nella loro fragilità, infatti, i popoli della Terra di Mezzo sono spesso attratti dalla corruzione del male, dalla sete di potere e dall’avidità che porta, spesso, verso una follia dilagante. Il male non fa eccezioni, in quanto essenza radicata nel mondo da tempo immemore, tenta di corrompere gli individui di ogni razza, cercando di distruggere le loro certezze per condurli lontano dalla luce. Personaggi come Thrór, Fëanor o Denethor, che arriva quasi a bruciare con sé il figlio Faramir, sono un esempio di quanto l’oscurità possa mettere radici nel profondo dell’animo, anche dei più forti e potenti, inducendoli a compiere azioni scellerate. In questo articolo, ci concentreremo su alcuni dei protagonisti de Il Signore degli Anelli, che rappresentano una dimostrazione evidente del processo sopra elencato e vedremo quanto la speranza di salvezza venga, comunque, enfatizzata attraverso personaggi incontaminati, che con grande volontà d’animo riescono a resistere alla perdizione e al sopraggiungere della follia.
La follia alla base del mondo fantasy di Tolkien
“In questo triste pomeriggio piovigginoso ho letto vecchi appunti di lezioni militari ed ero già stufo dopo un’ora e mezza. Ho apportato dei ritocchi alla lingua delle fate che ho inventato per migliorarla. Spesso mi viene voglia di lavorarci, ma me lo proibisco perché, anche se mi piace tanto, mi sembra un’occupazione così pazza!” (Cit. Lettera 4, Da “Lettere 1914/1973” di J.R.R. Tolkien)
Questo scrive Tolkien a Edith, colei che sarebbe diventata sua moglie. Lui definisce “Occupazione così pazza” il dedicarsi ad un’attività di fantasia, la lingua delle fate, che lo appassiona certamente di più dei vecchi appunti di lezioni militari. E addirittura arriva a proibirsene proprio perché si tratta di un’attività pazza. Perché sarebbe più giusto (per la società) vivere nella noia che nasce dal fare il proprio dovere, piuttosto che vivere nella pazzia di un’occupazione che origina dall’immaginazione. E questa occupazione così pazza ha dato vita ad un capolavoro: Il Signore degli Anelli, in cui la parola follia, con significato positivo o negativo in base al contesto, è spesso presente.
“La disperazione è solo per coloro che vedono la fine senza dubbio possibile. Non è il nostro caso. È saggezza riconoscere la necessità quando tutte le altre vie sono state soppesate, benché possa sembrare follia a chi si appiglia a false speranze. Ebbene, che la follia sia il nostro manto…” (Cit. Da “Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien)
Follia, in questo caso, è qualcosa che non può essere concepito come accettabile dalla mente. Il Nemico, che ragiona solo in virtù del desiderio di potere, non potrebbe mai pensare che qualcuno possa rifiutare un simile dono, o che voglia distruggere l’Anello, lo strumento che rende potente chi lo possiede. Ma follia è anche fare qualcosa che rompa gli schemi, che spiazzi l’avversario, che confonda i suoi calcoli. È una strategia così semplice che la mente del Nemico non è neppure in grado di concepire. È la semplicità a spiazzare, sempre. Semplice, ma mai banale.
La follia di Boromir ne Il Signore degli Anelli
La follia ne Il Signore degli Anelli è ben rappresentata da uno dei personaggi più importanti della prima parte del romanzo, ovvero Boromir, figlio di Denethor II e fratello maggiore di Faramir. Egli è uno dei 9 membri della Compagnia dell’Anello costituita da Elrond dopo il Consiglio tenutosi a Gran Burrone.
“È pura follia non adoperarlo, non adoperare il potere del Nemico per lottare contro di lui». «E ci ordinano di gettare via l’Anello!»; e ancora: “Follia! «È per colpa della tua follia che il Nemico ci sconfiggerà», urlò Boromir. Alzandosi si passò una mano sugli occhi, asciugandosi le lacrime. «Che ho detto?», gridò. «Cosa ho fatto? Frodo, Frodo!», chiamò ripetutamente. «Torna! Sono stato colto da una crisi di follia, ma ora è passata. Torna!”. (Cit. da “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien)
Follia, per Boromir è la missione di Frodo, che sta andando a gettarsi tra le mani della morte. Pura follia è non adoperare l’Anello. Follia dare al Nemico la migliore opportunità di impadronirsi da sé dell’Anello. E follia è la crisi di cui Boromir dice di esser stato colto, quando torna in sé pentito per aver reagito contro Frodo. Ma Boromir, che usa spesso la parola follia, in realtà ne è preda. Infatti, attraverso il suo corpo si manifestano quelli che sembrano essere proprio i sintomi della follia e di una totale mancanza di controllo, che poco dopo lo porta a pentirsi dei gesti compiuti.
Sintomi in alcuni personaggi solo accennati che riscontriamo, con maggiore o minore intensità, anche in altri che si imbattono nell’Anello. Si pensi all’aspetto e alle reazioni di Gollum, corrotto e trasformato inesorabilmente da quel fardello che lui vede come un “tesoro” da cui non può distaccarsi, o alla rabbia di Bilbo quando viene invitato a rinunciare all’anello. Ma l’Unico Anello, non deve necessariamente essere indossato per produrre i suoi effetti. Infatti, ne basta anche solo la vista per andare fuori di testa, seppur per pochi attimi.
La tentazione dell’Anello: Gandalf e Galadriel
Il tema della follia ne Il Signore degli Anelli, arriva a sfiorare anche due dei personaggi più iconici e benevoli del Legendarium tolkieniano, lo stregone Gandlaf e Galadriel, la dama elfica di Lothlórien.
Gandalf e l’Anello
“No!», gridò Gandalf, saltando in piedi. «Con quel potere, il mio diventerebbe troppo grande e troppo terribile. E su di me l’Anello acquisterebbe un potere ancor più spaventoso e diabolico». I suoi occhi lanciarono fiamme ed il suo viso fu illuminato da un fuoco interno…” (Cit. da “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien)
Galadriel e l’Anello
“…Non nego che il mio cuore ha a lungo desiderato chiederti quel che ora mi offri…Tu mi daresti l’Anello di tua iniziativa! Al posto dell’Oscuro Signore vuoi mettere una Regina. Ed io non sarò oscura, ma bella e terribile come la Mattina e la Notte! Splendida come il Mare ed il Sole e la Neve sulla Montagna! Temuta come i Fulmini e la Tempesta! Più forte delle fondamenta terra. Tutti mi ameranno, disperandosi!” (Cit. da “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien)
Entrambi, Gandalf e Galadriel, sono due figure importanti nella storia, perché incarnano la saggezza, e al contempo la forza e il coraggio, infondendoli a chi ne ha bisogno. Loro rappresentano il Bene, e sono già due figure potenti. Analizziamo la reazione dei due innanzi all’anello che viene offerto loro da Frodo. Lo Hobbit dice a Gandalf di prendere l’anello, in quanto essere saggio e potente e a Galadriel chiede lo stesso, lasciando trasparire il suo timore nel gestire qualcosa che va al di sopra del suo potere e la sua comprensione. In entrambi i casi, Frodo afferma di non essere all’altezza della missione, riconoscendo in Gandalf e, poi, in Galadriel, coloro che invece potrebbero essere in grado di portarla a termine. Così, offre loro l’Anello. Frodo confida nella loro potenza, cosa che a lui manca e che lo rende fragile. Eppure, quella stessa potenza è ciò che, invece, renderebbe fragili Gandalf e Galadriel, se solo si azzardassero a indossare l’anello. Esaminiamo, innanzitutto, la reazione fisica dei due. All’invito di Frodo, Gandalf grida e scatta in piedi. Galadriel alza in alto una mano, e l’anello che porta (Nenya, l’Anello di Adamant) sprigiona una luce tale da irradiare se stessa, facendola apparire grande ed immensamente forte. Stiamo assistendo in anteprima agli effetti che l’Anello avrebbe su Galadriel: verrebbe illuminata solo lei, in tutta la sua grandezza, ma il resto rimarrebbe nell’oscurità, nonostante lei affermi che non sarà oscura.
In secondo luogo, entrambi giustificano il loro desiderio in nome del bene, poiché non hanno intenzione di eguagliare L’Oscuro Signore in potenza e malvagità, ma vorrebbero utilizzare il manufatto a scopi benevoli, per accelerare il raggiungimento dei loro obiettivi e della loro missione. Gandalf e Galadriel, però, riescono a resistere alla tentazione, non cedono alla follia cui li condurrebbe l’Anello. Gandalf conforta Frodo, dicendogli che gli starà accanto, che lo sosterrà. Galadriel, invece, torna a essere un’esile donna elfica dalla voce dolce e triste, affermando così di rimanere “Galadriel”, perché è consapevole che se indossasse l’Anello non sarebbe più lei, non sarebbe più se stessa. Accettarsi e riconoscere il Male e la Follia, prima ancora di farne esperienza, è pura saggezza. Gandalf e Galadriel riescono a rompere lo schema della tentazione e così facendo, mostrano a Frodo la loro potenza, che non è quella che lui aveva immaginato. Qui la loro forza scaturisce dall’umiltà attraverso cui si riconoscono fragili. “Quando sono debole, è allora che sono forte” (Cit. San Paolo, 2Cor 12,10, “La Sacra Bibbia”).
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