Uno dei personaggi apparentemente di contorno del Signore degli Anelli che riveste un ruolo centrale è Faramir, Capitano di Gondor e figlio minore del Sovrintendente di Gondor.
Il fratello di Boromir incontra Frodo e Sam nell’Ithilien e si mostra simile nell’aspetto al fratello, ma in verità è molto diverso in quanto a motivazioni ed etica.
Faramir, infatti, è un eroe molto moderno, a differenza di Boromir: il figlio maggiore di Denethor è permeato dai valori dell’eroismo fine a se stesso, o perlomeno teso a mostrare il valore della sua patria in battaglia, il che lo porta a cadere nella rete dei poteri dell’Anello. Faramir, invece, vede la guerra e l’eroismo in maniera molto diversa, direi antitetica:
“La guerra è indispensabile per difendere la nostra vita da un distruttore che divorerebbe ogni cosa; ma io non amo la lucente spada per la sua lama tagliente, nè la freccia per la sua rapidità, nè il guerriero per la gloria acquisita. Amo solo ciò che difendo: la città degli Uomini di Nùmenor; e desidero che la si ami per tutto ciò che custodisce di ricordi, antichità, bellezza ed eredità di saggezza. Non desidero che desti altro timore che quello reverenziale degli Uomini per la dignità di un anziano saggio”.
Tra Faramir e Boromir, che pure si vogliono molto bene, c’è un abisso, in quanto a concezioni della vita. Faramir, in cui Tolkien in qualche modo si riconosceva, è un vero uomo di cultura- è lui che accoglie sempre a Gondor Gandalf, quando il mago vi si reca, e si è nutrito molto di quella amicizia- ma questo non gli impedisce di essere coraggioso e combattivo, tutt’altro: con i suoi Ranger dell’Ithilien ritarda continuamente le avanzate del Nemico, con sortite e imboscate; ma non prova piacere per le grandi battaglie campali e gli assalti all’arma bianca, tanto che quando il padre lo manderà in una missione del genere- quasi suicida- si salverà a stento dalla morte.
Il rifiuto di Faramir, o la sua ostilità per una tattica del genere, che non esita a manifestare al padre, pur obbedendogli, sono il riflesso dell’esperienza di Tolkien durante la Grande Guerra, nella quale molti comandanti mandarono alla morte i loro soldati per strappare miseri pezzetti di terra.
Tolkien ci vuole dire che l’eroismo fine a sé stesso diventa “orgoglio e disperazione”, e non può che portare alla morte. Faramir stesso, parlando con Frodo, riflette su questa concezione del coraggio, e ammette che Gondor ha scelto di aderirvi, perdendo un pò di saggezza per strada. C’è molta amarezza, nelle sue parole:
“Abbiamo appreso dai Rohirrim ad amare la guerra e il coraggio come cose buone in se stesse, tanto uno svago quanto uno scopo; e pur convinti che un guerriero debba possedere altre doti di intelligenza e destrezza oltre l’abilità nel maneggiare le armi e uccidere, tuttavia lo consideriamo superiore agli Uomini d’altri mestieri”.
Un passo cruciale, questo, a mio avviso: il modello di eroe che Tolkien ci delinea, invece, va contro questa concezione su cui riflette amaramente Faramir: uomini comuni che fanno grandi scelte, come Bilbo e Frodo, o soldati di valore, come Faramir, Aragorn e Beregond, che riescono a essere prodi e coraggiosi senza farsi travolgere dalla gloria di grandi imprese.
Boromir, così come Turin, cade proprio per questo: un eroismo del passato, direbbe qualcuno, eppure, guardandoci indietro, verso i caduti in trincea e l’esaltazione della bella morte da parte del Nazismo, forse il rischio dell’orgoglio e della disperazione è molto più vicino a noi di quanto non pensiamo, e le parole di Faramir, Capitano di Gondor, possono mostrarci la strada giusta da perseguire.
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