La Caduta Di Númenor ed il suo ruolo simbolico in Tolkien

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La Caduta di Númenor nelle opere di Tolkien


Dopo aver analizzato il ruolo della musica e del canto nelle opere di Tolkien, ci concentriamo su un tema estremamente affascinante nell’universo di Arda, La Caduta di Númenor. “Non ci può essere una storia senza una caduta: tutte le storie in definitiva, riguardano una caduta, per lo meno per la mente umana come noi la conosciamo e di cui siamo dotati”, scrive Tolkien nella lettera numero 131. La parola “caduta” è spesso presente nelle sue opere e in molte lettere del Professore. Pensiamo alla caduta di Gondolin e alla caduta dei principali reami degli Elfi della Prima Era, o alla caduta del Regno di Arnor dei Dúnedain del Nord, durante la Terza Era. Puoi trovare una lista aggiornata di tutte le opere di Tolkien nel nostro archivio.

Cadere è umano. Tutta colpa della gravità che spinge il corpo verso il basso. Ma non è solo una questione fisica. La gravità riguarda anche la mente e l’anima, quando sono gravate, appunto, dal peso dell’istinto e del peccato. In genere, sono tanti i motivi che portano l’uomo a cadere. Ma ce n’è uno in particolare che costituisce la causa prima, una forza, oltre a quella di gravità, che ci spinge verso giù fino a perdere l’equilibrio: il desiderio. Tolkien menziona spesso La Caduta di Númenor nelle sue lettere, e ne tratta abbondantemente ne Il Silmarillon, in un capitolo ad essa dedicato, L’Akallabêth. Inoltre, troviamo tracce di tale evento anche in testi come I racconti incompiuti e La Storia Della Terra Di Mezzo, oltre che alcuni frammenti nelle celebri appendici A e B de Il Signore degli Anelli. Per avere una visione più completa degli eventi relativi a La caduta di Númenor, consigliamo la lettura del libro omonimo, scritto da Brian Sibley, che ha compiuto un grande lavoro di riordino degli scritti di Tolkien inerenti al tema.

Cosa rappresenta la caduta di Nùmenor per Tolkien? Può essere intesa come errore o peccato. Cadere vuol dire precipitare verso il basso, luogo in cui risiedono gli istinti e i desideri più infimi dell’essere umano. Cadere vuol dire cedere alla gravità, sottomettersi al peso di qualcosa cui non si è riusciti ad opporre resistenza, molto spesso una tentazione. Prendiamo in esempio – e anche Tolkien ne fa menzione – la caduta degli angeli. Queste creature, un tempo divine, nel ribellarsi a Dio, cadono, in quanto vittime del loro orgoglio che nasce dal desiderio di potere. È ciò che avviene anche ai Numenoreani. Essi sono stati creati forti e si distinguono per le loro ottime qualità di artigiani e costruttori, per la loro intelligenza e creatività superiore ai comuni uomini della Terra di Mezzo. Sono un popolo laborioso, attivo nei più svariati settori, dall’agricoltura all’allevamento ed alla navigazione. In principio, sono fedeli ai Valar, che venerano e da cui accettano la guida. Sono anche amici degli Eldar di Valinor e di Tol Eressëa. Tuttavia, Le Potenze del Reame Beato hanno posto un divieto ai Numenoreani: Non devono mai far vela verso Aman, né verso Occidente, fino a perdere di vista la loro terra… Non devono mettere piede su terre «immortali», perché potrebbero innamorarsi dell’immortalità, che è proibita da Eru agli uomini, poiché il creatore di tutto ha un disegno diverso per tale razza, la morte, un dono di Ilùvatar che libera le loro anime dalla terra, oltre i Cerchi Del Mondo. Tale concetto è assai complesso e lo analizzeremo in maniera più approfondita in altro articolo dedicato.

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Le cause della Caduta degli uomini ed il valore simbolico in Tolkien

Innanzi a questo Divieto, Tolkien individua tre fasi relative all’allontanamento dei Numenoreani dalla grazia.

Prima è l’acquiescenza, l’obbedienza che è libera e volontaria, benché non senza completa comprensione. In questa prima fase, sono uomini di pace. Il loro coraggio si manifesta attraverso i viaggi per mare. Si spostano a nord, a sud ed a est, rispettando il divieto di raggiungere l’Ovest. Tra gli uomini selvaggi appaiono come creature quasi divine, in questo molto vicini ai Valar e diffondono tra essi arte e conoscenza. Sono diventati nell’aspetto, e anche nei poteri spirituali, quasi indistinguibili dagli Elfi, ma sono rimasti mortali, anche se premiati con una lunghezza della vita tripla o più che tripla rispetto alle altre stirpi degli Uomini.

Poi c’è la seconda fase, in cui per molto tempo obbediscono malvolentieri, lamentandosi sempre più apertamente. Tolkien definisce questo periodo come i giorni dell’orgoglio e del risentimento contro il Divieto, in cui i Numenoreani iniziano a focalizzare la loro attenzione sulla ricchezza. C’è un’ombra che offusca le loro menti e affievolisce quella forza che li aveva resi un grande popolo in Arda: quella stessa longevità che permette ai Numenoreani di apprendere quante più cose nella loro lunga vita, ad essi, ora, sembra non bastare più. Loro vogliono maggior tempo da vivere. La loro natura di mortali, comincia così, pian piano, a diventare un peso che li porta ad allontanarsi dai Valar, nei confronti dei quali iniziano a provare invidia e rancore. Con il tempo accresce il desiderio di immortalità e cambia la loro idea di morte, che non è più vista come dono di Ilùvatar (tra l’altro invidiata dagli Elfi, in quanto vista come liberazione dalla stanchezza del Tempo e dal legame con il mondo), ma come punizione. Così, per allontanarla sempre più, costruiscono tombe monumentali per creare un ricordo eterno della loro grandezza.

È Sauron a segnare la terza fase. Fattosi prendere con astuzia come ostaggio e prigioniero, diventa fidato consigliere del re Tar-Calion (Ar-Pharazôn) e, pian piano, inizia a diffondere menzogne sul Divieto, affermando che quest’ultimo fosse solo un espediente per impedire al re degli uomini di guadagnare la vita eterna. E così, quel desiderio di immoralità diventa un’ossessione per i Numenoreani. Fino a quando, un giorno, decidono di fare ciò che non avrebbero mai dovuto fare: rompere il divieto dei Valar. Così, si spingono verso la terra immortale per sfidare le Potenze d’Occidente e strappare loro l’immortalità. I Valar invocano Ilùvatar, il quale crea un abisso in cui vengono risucchiati i ribelli e l’intera Númenor, di cui viene cancellata ogni traccia sulla mappa. Dopo tale catastrofe, la terra immortale di Aman viene spostata in un luogo che non è più visibile agli Uomini, i quali non potranno mai più raggiungerla, poiché sarà consentito solo agli elfi attraverso la “Via Dritta”. Dopo la caduta di Númenor, infatti, i mortali potranno circumnavigare la Terra, che è un cerchio rotondo, finito, un cerchio a cui non si sfugge, se non con la morte, ma mai più incontreranno i Regni Beati.

Il desiderio, quando diventa ossessione, non basta mai. Si cerca di ottenere di più, non si è mai sazi. Quando l’essere umano cade, avviene un cambiamento in lui e nel mondo che lo circonda, nella sua realtà. Cadere comporta un cambio di prospettiva: la Terra da piatta può diventare rotonda. Ma allora, qual è il significato della caduta? Cadere comporta sofferenza. Cadere fa male, perché guardare il mondo dal basso non piace a nessuno. Ma è dalla sofferenza che apprendiamo a conoscerci di più. Cadere è una lezione di vita che ci insegna a prestare più attenzione, a ponderare prima di agire. Cadere significa trovare la forza per resistere alla gravità; cadere vuol dire imparare a rialzarsi nonostante il dolore e, tra le ferite, innamorarsi ogni volta della vita, vista così, dall’alto, da quel divino da cui ogni essere umano discende (Gli Elfi rappresentano l’aspetto umano elevato ad una potenza maggiore…). Gli eventi della caduta di Númenor hanno un valore simbolico potente, sono un esempio lampante del pensiero di Tolkien legato all’essere umano e al suo dualismo tra forza e fragilità.

Al di là di questa mia vita oscura, tanto frustrata, io ti propongo l’unica grande cosa da amare sulla Terra: i Santi Sacramenti. Qui tu troverai avventura, gloria, onore, fedeltà e la vera strada per tutto il tuo amore su questa terra, e più di questo: la morte, per il divino paradosso che solo il presagio della morte, che fa terminare la vita e pretende da tutti la resa, può conservare e donare realtà ed eterna durata alle relazioni su questa terra che tu cerchi (amore, fedeltà, gioia), e che ogni uomo nel suo cuore desidera” (Lett. a Michael Tolkien, n. 43). 

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Naila Carlisi Vita
Naila Carlisi Vitahttps://laviadellesfumature.it/
Grande appassionata di mondi fantasy. Laureata in giurisprudenza, scrittrice, narratrice di audiolibri, voice over ed insegnante di dizione. I libri mi accompagnano sin da piccola, sono loro ad avermi cresciuta, e in molte occasioni, si sono rivelati degli ottimi terapeuti. É per questo che ancora oggi continuo i miei viaggi tra avventure e regni fantastici, alla costante scoperta di connessioni che legano un autore ad un altro ed in particolare a Tolkien, divenuto ormai un mio punto di riferimento.

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